domenica

Qui tra il cielo e il cuore - Cap. 13 - Una piccola speranza

La mattinata con Shinji trascorse serenamente. Ryo però non dimenticava che Mick non aveva ancora dato sue notizie. Umibozu tornò dalla villa portando con sé tutto ciò che Ryo gli aveva chiesto. Come avevano progettato, contattarono Saeko, la quale fornì loro l’indirizzo presso il quale Mick aveva detto si sarebbe recato per cominciare le ricerche. Non si sarebbe mai aspettata che lui facesse centro al primo colpo. I due studiarono un po’ la situazione, segnandosi i particolari più importanti. Quello stesso pomeriggio, Ryo e Saeko si recarono al porto, nello stabile visitato da Mick. Tutto era tranquillo, troppo tranquillo. Aleggiava un silenzio spettrale. Qualcosa però catturò la loro attenzione: sembrava che fossero andati via in tutta fretta, come se qualcosa li avesse costretti ad andar via. A riprova di ciò vi erano diversi mobili rovesciati, ma vuoti. Questo però purtroppo, tranciava di netto la pista per trovare Mick. Saeko disse che avrebbe fatto delle ricerche sul proprietario dello stabile e avrebbe preso informazioni su chi lo avesse utilizzato fino a quel momento. A quel punto sarebbero ripartite le ricerche. Speravano però in cuor loro che Mick si facesse vivo in qualche modo. Passarono così alcuni giorni.

-“La febbre sembra passata, Kaori.”- disse Ryo, tenendo in mano il termometro che Shinji gli aveva appena dato.
-“Si, Shinji ha anche ricominciato a mangiare tranquillamente. Finalmente questa brutta influenza è andata via.”-
-“Sì per fortuna! Eeeciù!!!”- disse Ryo cercando invano di trattenere lo starnuto.
-“Oh oh! Ryo, non sarai stato contagiato?”-
-“Ma no che dici!?! City Hunter non prende l’influenza! E e e etciù!!”-
-“Sì come no…. Oh mamma, adesso devo fare da infermiera pure a te? Preferisco accudire Shinji!!”- disse Kaori roteando gli occhi, al pensiero di Ryo con l’influenza.
-“Eddai, perché? Bella infermierinaaaa! Vieni dal tuo ammalatoooo!!”- disse Ryo, allungando le mani su Kaori, la quale gli tirò un cuscino, non avendo martelli a portata di mano.
-“Ehi Umibozu, sai la novità? Kaori per la prima volta in vita sua non ha colpito Ryo con un martello, ma si è limitata a lanciargli un cuscino! Forse ci siamo!”- disse Miki sbirciando in modo da non essere vista.
-“Sei proprio una curiosa ficcanaso, moglie!”-
-“E tu un noiosissimo rompiscatole, marito!”- gli disse di rimando Miki, facendo una linguaccia.

-“Forse non è il caso tornare a casa, Ryo… dovremmo aspettare ancora un giorno almeno, in modo che non ci siano ricadute. Anche se credo che Miki e Umibozu ci faranno secchi per questa intromissione infinita a casa loro.”-
-“Ma no ragazzi, la casa è grande e voi non disturbate affatto.”-
-“Grazie Miki, sei un’amica.”-
-“A momenti dovrebbe arrivare Kazue. Poverina, quest’attesa deve essere stressante per lei.”- aggiunse Miki.
-“Già… la capisco…”- disse Kaori sospirando, realmente preoccupata.
-“Oh, verrà Kazue?!?! Che bello!!! La mia bella infermierina!!! La consolerò io per la mancanza di Mick!!”- forse Ryo voleva solo alleggerire la tensione ma Kaori e Miki, non erano d’accordo e lo fulminarono con lo sguardo. Lui smise di dire qualunque cosa vedendo un martello pronto a colpirlo.
-“Piuttosto invece, ti porterà qualche medicina per farti guarire dal raffreddore. Magari ti prescriverà una bella iniezione!!”- disse Kaori un po’ sadica. Ryo cominciò a sudare freddo. Non amava molto le iniezioni. Soprattutto dopo l’esperienza che aveva vissuto con certe api e una sposa piovuta dal cielo.
-“Ma se ti comporterai bene metteremo una buona parola…”- Kaori e Miki si divertirono un po’ a prenderlo in giro, attendendo l’arrivo di Kazue.



Mick ormai non parlava più. Non sarebbe riuscito a quantificare da quanto tempo fosse stato rinchiuso in quella prigione. Respirava pesantemente, per via del peso del suo stesso corpo. Cominciava a sentire la lingua gonfia e le labbra secche percorse da piccole ferite. Chiunque avrebbe ceduto alla pazzia, al delirio e probabilmente sarebbe morto. Mick per fortuna era di fibra resistente. L’essere sopravvissuto alla “polvere degli angeli” lo aveva in qualche modo irrobustito. Quanto meno la sua mente non cedeva facilmente. Per tenerla impegnata si era messo dapprima a ricordare a memoria tutti i numeri di telefono, i nomi delle vie distretto per distretto, poi aveva ripercorso tutte le sue avventure. Aveva fatto mentalmente una lista di cose da fare e soprattutto cercò di capire come fosse finito in questo guaio.

Preoccupata di non sentire più alcun movimento, né suono, provenire dalla cella, la donna che aveva sentito Mick urlare, decise di andare a vedere come stesse. Non aveva mai visto Mick, né la persona che un tempo aveva amato, gliene parlò apertamente. Solo una volta lei provò a chiedere qualcosa, ma quell’uomo le rispose che non erano affari suoi, che se avesse ficcato il naso sapeva cosa sarebbe successo. E gliene diede una piccola dimostrazione. Nonostante le minacce, poiché lui era assente, prese un po’ di coraggio e sfidò la sorte. Il suo sesto senso le diceva che l’uomo rinchiuso non era malvagio, ma piuttosto una persona nel posto sbagliato al momento sbagliato. Fortunatamente non c’erano guardie in casa. Le guardie non avevano il permesso di entrare. E in quel momento lui era in riunione con i suoi collaboratori: cosa avesse in mente di fare questa volta lo ignorava. Come sempre. Decisamente spaventata e insicura, timorosa di venire scoperta, decise comunque di entrare. Cercò di fare molto piano. Girò con cura il chiavistello, senza far rumore. Entrò nel buio antro e chiuse la porta alle sue spalle. Aveva portato con se diverse cose tra cui una piccola luce rossa, del tipo di quelle per le camere oscure, perché sapeva che gli occhi di Mick non erano più abituati alla luce e avrebbe potuto accecarlo con una normale torcia. La sua paura era di trovarsi davanti un uomo morto, invece il respiro di Mick la rassicurò. Aveva portato con sé dell’acqua e lo aiutò a berne un po’. Mick tossì violentemente dopo averla bevuta con avidità.
La donna aveva anche portato una panca in modo che Mick potesse salirci sopra e riposare le braccia. Conosceva bene i metodi di tortura che lui utilizzava. Non capiva il perché di questo trattamento ma sapeva benissimo che lui era d’estrema malvagità. Aveva imparato a conoscerlo.
Mick restò sorpreso da queste attenzioni. Pian piano aprì i suoi occhi, ma nonostante tutte le precauzioni, la luce gli risultava troppo forte. Sapeva benissimo che potevano avergli dato del veleno, ma l’istinto di sopravvivenza aveva avuto la meglio su di lui e adesso se ne pentiva. Non sapeva chi era entrato e gli aveva dato da bere. Era sicuro però che fosse una donna: aveva trascinato con fatica la panca e soprattutto quando gli aveva sfiorato il viso per porgergli da bere, aveva percepito perfettamente delle sottili dita femminili. E profumava di rosa. Poteva essere una killer, certo. Ma aveva dei modi troppo delicati per esserlo. O almeno questo era quello che sperava.
-“Come stai?”- chiese lei debolmente, con voce piccola.
-“Sono stato meglio… chi sei tu?”- disse Mick, riuscendo a malapena ad articolare le parole.
-“Nessuno… volevo solo aiutarti, mi sono preoccupata non sentendoti più e sono venuta a dare un’occhiata. Sinceramente speravo di poter parlare con te.”- la sua voce aveva un leggero accento americano.
-“Perché? Chi sei? Sei una complice di quell’individuo?”-
-“No! Ti assicuro no! Sono una sua vittima anche io, in realtà.“-
-“Come posso fidarmi di te? Potresti essere venuta qui solo per ultimare il lavoro di quel farabutto, magari estorcendomi quello che vuol sapere con i tuoi modi gentili. Vuoi comprarmi dandomi dei premi di consolazione? Non attacca.”-
-“No davvero. Mi spiace che pensi questo di me. Sono sinceramente preoccupata per te e non ti nascondo che mi aspettavo di trovarmi davanti un cadavere. Ho preso le chiavi e sono entrata. Lui non c’è. Ma tornerà presto.”-
-“Allora aiutami a fuggire! Liberami!”- le disse Mick con impazienza.
-“Non ho le chiavi che aprono le manette purtroppo! Quelle le ha lui sempre con se.”-
-“Allora se davvero vuoi aiutarmi cerca di sottrargliele!”-
-“Io lo vorrei ma…”-
-“Ma cosa? Io aiuterei anche te a scappare, naturalmente!”-
-“Non ne dubito, ma lui potrebbe fare dal male al bambino…”-
-“Quale bambino?”-
-“Mio figlio… o meglio il bambino che ho adottato insieme a lui…”-
-“Lui chi? L’uomo che mi tiene prigioniero?”-
-“Si. Ma è una lunga storia. Non posso parlartene adesso. Ascolta lui non tornerà da te prima di una settimana. Solitamente si comporta così. Io cercherò di venire appena possibile e ti porterò qualcosa di commestibile.”-
-“Sicuro che non mi avvelenerai?”-
-“No!”- lei rispose risentita.
-“Perché stai facendo tutto questo?”-
-“Non lo so… forse perché vorrei scappare anche io…”-
-“Dove siamo?”- chiese Mick, ma lei non ebbe il tempo di rispondergli, il suo sesto senso le diceva che era meglio andar via.
-“Adesso devo andare! Tornerò appena sarà possibile! Cercherò di portare quelle chiavi in qualche modo.”- e si precipitò alla porta.
-“Aspetta dimmi almeno come ti chiami!”-
-“Il mio nome è Rose. A presto!”- e la porta si chiuse, lasciando Mick nuovamente solo e al buio.

Rose… come il profumo che hai portato qui dentro…. Grazie per il tuo aiuto…

sabato

Qui tra il cielo e il cuore - Cap.12 - I dubbi e l'angoscia

-“Non ti nascondo Ryo, che il ritardo di Mick non mi piace.”- disse Umibozu, sistemando i bicchieri del bar alle sue spalle.
-“Già Umi, neppure a me.”- rispose Ryo sfogliando il giornale, seduto al suo solito posto al bancone del bar.
-“Aspettiamo ancora qualche ora. Dopodiché dobbiamo mettere a punto un piano.”-
-“Allora ragazzi. Stanotte siete spariti. Posso chiedere dove eravate di bello?”- li interruppe Miki, ultimando le operazioni di apertura del bar.
-“Come mai tutta questa curiosità, Miki?”- le chiese Ryo, senza staccare gli occhi dal giornale.
-“Beh, è tutto un po’ strano non trovi? Tuo figlio sta male e tu non ci sei!”-
Ryo si chiuse a riccio, continuò e leggere il giornale e non le diede alcuna risposta.
-“Non mi dirai che non sei convinto della tua paternità! Ormai riesco a capirti, anche se non parli. A volte mi sembra di intuire quali pensieri balenano nel tuo cervello”-
Ryo si limitò a sbuffare.
-“Ma c’è un argomento che non ti irrita? Un argomento di cui possiamo parlare apertamente senza che tu risponda a monosillabi o ti limiti a grugnire?”- incalzò Miki leggermente irritata dall’atteggiamento di Ryo.
Ryo alzò gli occhi guardandola con curiosità. Dove voleva arrivare?
-“Miki… che vuoi da me?”-
-“Sì lo so cosa pensi di me: che sono una pettegola ficcanaso. Ma io lo faccio solo per Kaori, non voglio che lei debba soffrire per qualunque motivo al mondo. E naturalmente per te Ryo. Ormai sono affezionata anche a te. Rispondimi: hai qualche dubbio sulla tua paternità?”-
-“Lo fai davvero per aiutarmi o per semplice curiosità?”- Ryo, girò pagina.
-“Che domande! È ovvio che lo faccio per aiutarti! Allora vuoi rispondermi? Sappi che non tollererò un’altra domanda come risposta!”- gli intimò la ragazza, appoggiando entrambe le braccia al bancone, sorreggendo la testa con una mano. Voleva parlargli guardandolo dritto negli occhi, ma lui li teneva ostinatamente fissi sul giornale.
-“Si Miki, ci hai visto giusto. Ho il dubbio che Emi mi abbia raccontato una mezza verità. Anche se, allo stesso tempo, non capisco perché avrebbe dovuto mentirmi su una cosa così importante.”-
-“Ma se non sei sicuro, perché non fai un test del DNA? Così ti toglieresti tutti i dubbi!”-
-“Si. Ci avevo già pensato. E poi? Se non è mio figlio, che faccio? Lo abbandono? Quel bambino non ha nessuno al mondo. Preferisco restare col dubbio e pensare che sia mio figlio, piuttosto che sapere che non lo è e tenerlo con me solo per pietà. No. Non è il caso.”
-“Ryo, sai benissimo che non intendevo dire questo. Non voglio certo che resti solo. Ma se sei così dubbioso, potresti toglierti il dubbio e stare più sereno… Kaori che ne pensa?”-
-“Non ho mai detto a Kaori quello che penso su questa faccenda.”- disse Ryo stizzito, non gli andava giù che Kaori fosse sempre messa nel mezzo.
-“E perché di grazia?”- ormai Miki era incontenibile.
-“Non voglio angustiarla più di quanto già faccia io, quotidianamente. E poi Kaori…”-
-“Cosa si dice sul mio conto?- disse Kaori entrando al bar .
-“Nulla di che, Kaori. Stavamo elogiando le tue qualità di madre!”- le disse Miki, sollevandosi dal bancone e incrociando le dita dietro la schiena.
-“Eh? Oh beh grazie. Ero venuta a vedere se qui al bar hai un po’ di latte Miki. In cucina non ne ho trovato e Shinji ha una fame da lupi!”-
-“Certo povero piccolo, è da ieri che non tocca cibo! Ecco il latte. Aspetta vengo a darti una mano.”- e Miki, porgendole il latte in bottiglia, la seguì in cucina.

Più tardi, quella stessa mattina….
-“Allora Kaori, io e Umibozu andiamo a casa Katayama e a cercare notizie di Mick, magari Saeko sa qualcosa. Ha chiamato Kazue preoccupata per il ritardo di Mick.”-
-“Va bene, ma Ryo stai molto attento. Può essere pericoloso”- gli disse Kaori preoccupata.
-“Sta tranquilla Kaori, non succederà nulla. Andiamo Umi”- disse Ryo con voce ferma.
-“Papà!”- la debole voce proveniva dalla stanza di Shinji.
Si guardarono negli occhi, Ryo e Kaori. Poi Kaori lo incoraggiò con lo sguardo e Ryo si voltò, come gli altri, verso la porta socchiusa della stanza di Shinji. Ryo entrò.
-“Papà, non andare!”- disse il bambino con voce supplicante.
Ryo si avvicinò al bambino e si sedette sul suo letto.
-“Non andare, ho paura. Resta qui con me e con mamma Kaori.”- nella sua voce traspariva la preoccupazione, sicuramente era stato il tono di prima di Kaori a farlo inquietare.
-“Shinji, piccolo mio, papà deve andare: un amico ha bisogno d’aiuto e gli amici si aiutano sempre!”- disse Kaori, e aggiunse -“Vedrai tornerà presto”-
Ryo poggiò una mano su quella di Kaori che nel frattempo si era avvicinata e si era messa alla stessa altezza del bambino poggiando le ginocchia in terra.
Gli occhi del bambino cominciavano a gonfiarsi di lacrime. Ryo non sapeva che fare davanti a quella richiesta supplichevole. Si sentiva senza argomenti. Poi decise, senza mai staccare gli occhi da quelli del bambino.
-“Va bene Shinji, per questa mattina resterò qui con te. Permettimi solo di parlare con Umibozu due minuti, va bene?”-
Sul viso del bambino di disegnò un grande sorriso, le lacrime rotolarono giù lo stesso, ma lui non se ne curò. Si lanciò in avanti per poter abbracciare il suo papà. Ryo, ancora una volta, non sapeva come comportarsi, ma poi si decise a rispondere a quell’abbraccio così spontaneo e tenero.



-“Bene bene bene, signor Angel. Cosa ha pensato di fare?”- l’uomo sembrava più cinico della volta precedente.
-“Chi è quel bambino che ho sentito piangere?”- chiese Mick con rabbia.
-“Non sono cose che ti riguardano. Non è nessuno che tu conosca, tranquillo…. E poi non lo sentirai più non preoccuparti!”-
-“Che cosa gli hai fatto, brutto…”- disse Mick cercando di liberarsi.
-“Non c’è bisogno di reagire così. Non gli ho fatto proprio nulla e in ogni caso non sono affari che ti riguardano.”-
-“Maledetto!”- Mick strattonò nuovamente le manette.
-“Torniamo al nostro discorso! Allora?”-
Mick non disse una parola.
-“Ti ho fatto una domanda e pretendo una risposta! Chi ti manda?”- disse alterato l’uomo incappucciato.
-“Non mi manda nessuno!”- stavolta era Mick ad avere un tono sarcastico.
-“Oh, non ti manda nessuno! E allora che ci facevi a rovistare tra le nostre cose?”-
-“Cosa vuoi che importi ormai?”-
-“Lo sai, caro Angel, che è inutile che speri che qualcuno venga a salvarti vero? Quindi sarebbe meglio che tu collaborassi anziché fare tanto il difficile”-
-“Ti sbagli! In qualche modo riuscirò ad andarmene da qui!”-
-“Convinto tu… forse non ti ho dato abbastanza tempo per riflettere. Essendo io molto magnanimo e tu uno sciocco, capisco che hai bisogno di più tempo per arrivare ad una saggia decisione. Quando tornerò parlerai…. Anche perché ti lascerò qui, ancora, senza luce, né cibo, né acqua…. O arrivi alla decisione giusta o impazzirai…. Buona permanenza!”- e senza dare il tempo a Mick di replicare, chiuse la porta di ferro dietro di sè. Mick era sconcertato dalla malvagità di quell’uomo, e dentro di sé pregava che i suoi amici potessero in qualche modo aiutarlo a venirne fuori.

Passarono lunghe ore durante le quali Mick cercò di dormire per non lasciare il cervello troppo libero di pensare. Mick non avrebbe saputo quantificare quanto tempo fosse trascorso. Minuti, ore… forse giorni. Cominciava ad avere una fame tremenda e quel che era peggio non sentiva più le braccia.
Urlò più volte che lo liberassero, che non avevano il diritto di tenerlo lì.

-“Chi siete? Cosa volete da me? Perché avete commesso quelle atrocità? Cosa hanno fatto le vostre vittime per meritare questo? Se avete coraggio rispondetemi!!”-

Mick era allo stremo delle forze. Dapprima urlò forte, ma poi, ogni volta, la sua voce si affievoliva sempre di più.

-“Rispondetemi…” - ormai era solo un sussurro.

Una donna, tremante e spaventata, accucciata in terra, copriva con le mani le sue orecchie per non udire la richiesta d’aiuto di quell’uomo che neppure conosceva.