La mattinata con Shinji trascorse serenamente. Ryo però non dimenticava che Mick non aveva ancora dato sue notizie. Umibozu tornò dalla villa portando con sé tutto ciò che Ryo gli aveva chiesto. Come avevano progettato, contattarono Saeko, la quale fornì loro l’indirizzo presso il quale Mick aveva detto si sarebbe recato per cominciare le ricerche. Non si sarebbe mai aspettata che lui facesse centro al primo colpo. I due studiarono un po’ la situazione, segnandosi i particolari più importanti. Quello stesso pomeriggio, Ryo e Saeko si recarono al porto, nello stabile visitato da Mick. Tutto era tranquillo, troppo tranquillo. Aleggiava un silenzio spettrale. Qualcosa però catturò la loro attenzione: sembrava che fossero andati via in tutta fretta, come se qualcosa li avesse costretti ad andar via. A riprova di ciò vi erano diversi mobili rovesciati, ma vuoti. Questo però purtroppo, tranciava di netto la pista per trovare Mick. Saeko disse che avrebbe fatto delle ricerche sul proprietario dello stabile e avrebbe preso informazioni su chi lo avesse utilizzato fino a quel momento. A quel punto sarebbero ripartite le ricerche. Speravano però in cuor loro che Mick si facesse vivo in qualche modo. Passarono così alcuni giorni.
-“La febbre sembra passata, Kaori.”- disse Ryo, tenendo in mano il termometro che Shinji gli aveva appena dato.
-“Si, Shinji ha anche ricominciato a mangiare tranquillamente. Finalmente questa brutta influenza è andata via.”-
-“Sì per fortuna! Eeeciù!!!”- disse Ryo cercando invano di trattenere lo starnuto.
-“Oh oh! Ryo, non sarai stato contagiato?”-
-“Ma no che dici!?! City Hunter non prende l’influenza! E e e etciù!!”-
-“Sì come no…. Oh mamma, adesso devo fare da infermiera pure a te? Preferisco accudire Shinji!!”- disse Kaori roteando gli occhi, al pensiero di Ryo con l’influenza.
-“Eddai, perché? Bella infermierinaaaa! Vieni dal tuo ammalatoooo!!”- disse Ryo, allungando le mani su Kaori, la quale gli tirò un cuscino, non avendo martelli a portata di mano.
-“Ehi Umibozu, sai la novità? Kaori per la prima volta in vita sua non ha colpito Ryo con un martello, ma si è limitata a lanciargli un cuscino! Forse ci siamo!”- disse Miki sbirciando in modo da non essere vista.
-“Sei proprio una curiosa ficcanaso, moglie!”-
-“E tu un noiosissimo rompiscatole, marito!”- gli disse di rimando Miki, facendo una linguaccia.
-“Forse non è il caso tornare a casa, Ryo… dovremmo aspettare ancora un giorno almeno, in modo che non ci siano ricadute. Anche se credo che Miki e Umibozu ci faranno secchi per questa intromissione infinita a casa loro.”-
-“Ma no ragazzi, la casa è grande e voi non disturbate affatto.”-
-“Grazie Miki, sei un’amica.”-
-“A momenti dovrebbe arrivare Kazue. Poverina, quest’attesa deve essere stressante per lei.”- aggiunse Miki.
-“Già… la capisco…”- disse Kaori sospirando, realmente preoccupata.
-“Oh, verrà Kazue?!?! Che bello!!! La mia bella infermierina!!! La consolerò io per la mancanza di Mick!!”- forse Ryo voleva solo alleggerire la tensione ma Kaori e Miki, non erano d’accordo e lo fulminarono con lo sguardo. Lui smise di dire qualunque cosa vedendo un martello pronto a colpirlo.
-“Piuttosto invece, ti porterà qualche medicina per farti guarire dal raffreddore. Magari ti prescriverà una bella iniezione!!”- disse Kaori un po’ sadica. Ryo cominciò a sudare freddo. Non amava molto le iniezioni. Soprattutto dopo l’esperienza che aveva vissuto con certe api e una sposa piovuta dal cielo.
-“Ma se ti comporterai bene metteremo una buona parola…”- Kaori e Miki si divertirono un po’ a prenderlo in giro, attendendo l’arrivo di Kazue.
Mick ormai non parlava più. Non sarebbe riuscito a quantificare da quanto tempo fosse stato rinchiuso in quella prigione. Respirava pesantemente, per via del peso del suo stesso corpo. Cominciava a sentire la lingua gonfia e le labbra secche percorse da piccole ferite. Chiunque avrebbe ceduto alla pazzia, al delirio e probabilmente sarebbe morto. Mick per fortuna era di fibra resistente. L’essere sopravvissuto alla “polvere degli angeli” lo aveva in qualche modo irrobustito. Quanto meno la sua mente non cedeva facilmente. Per tenerla impegnata si era messo dapprima a ricordare a memoria tutti i numeri di telefono, i nomi delle vie distretto per distretto, poi aveva ripercorso tutte le sue avventure. Aveva fatto mentalmente una lista di cose da fare e soprattutto cercò di capire come fosse finito in questo guaio.
Preoccupata di non sentire più alcun movimento, né suono, provenire dalla cella, la donna che aveva sentito Mick urlare, decise di andare a vedere come stesse. Non aveva mai visto Mick, né la persona che un tempo aveva amato, gliene parlò apertamente. Solo una volta lei provò a chiedere qualcosa, ma quell’uomo le rispose che non erano affari suoi, che se avesse ficcato il naso sapeva cosa sarebbe successo. E gliene diede una piccola dimostrazione. Nonostante le minacce, poiché lui era assente, prese un po’ di coraggio e sfidò la sorte. Il suo sesto senso le diceva che l’uomo rinchiuso non era malvagio, ma piuttosto una persona nel posto sbagliato al momento sbagliato. Fortunatamente non c’erano guardie in casa. Le guardie non avevano il permesso di entrare. E in quel momento lui era in riunione con i suoi collaboratori: cosa avesse in mente di fare questa volta lo ignorava. Come sempre. Decisamente spaventata e insicura, timorosa di venire scoperta, decise comunque di entrare. Cercò di fare molto piano. Girò con cura il chiavistello, senza far rumore. Entrò nel buio antro e chiuse la porta alle sue spalle. Aveva portato con se diverse cose tra cui una piccola luce rossa, del tipo di quelle per le camere oscure, perché sapeva che gli occhi di Mick non erano più abituati alla luce e avrebbe potuto accecarlo con una normale torcia. La sua paura era di trovarsi davanti un uomo morto, invece il respiro di Mick la rassicurò. Aveva portato con sé dell’acqua e lo aiutò a berne un po’. Mick tossì violentemente dopo averla bevuta con avidità.
La donna aveva anche portato una panca in modo che Mick potesse salirci sopra e riposare le braccia. Conosceva bene i metodi di tortura che lui utilizzava. Non capiva il perché di questo trattamento ma sapeva benissimo che lui era d’estrema malvagità. Aveva imparato a conoscerlo.
Mick restò sorpreso da queste attenzioni. Pian piano aprì i suoi occhi, ma nonostante tutte le precauzioni, la luce gli risultava troppo forte. Sapeva benissimo che potevano avergli dato del veleno, ma l’istinto di sopravvivenza aveva avuto la meglio su di lui e adesso se ne pentiva. Non sapeva chi era entrato e gli aveva dato da bere. Era sicuro però che fosse una donna: aveva trascinato con fatica la panca e soprattutto quando gli aveva sfiorato il viso per porgergli da bere, aveva percepito perfettamente delle sottili dita femminili. E profumava di rosa. Poteva essere una killer, certo. Ma aveva dei modi troppo delicati per esserlo. O almeno questo era quello che sperava.
-“Come stai?”- chiese lei debolmente, con voce piccola.
-“Sono stato meglio… chi sei tu?”- disse Mick, riuscendo a malapena ad articolare le parole.
-“Nessuno… volevo solo aiutarti, mi sono preoccupata non sentendoti più e sono venuta a dare un’occhiata. Sinceramente speravo di poter parlare con te.”- la sua voce aveva un leggero accento americano.
-“Perché? Chi sei? Sei una complice di quell’individuo?”-
-“No! Ti assicuro no! Sono una sua vittima anche io, in realtà.“-
-“Come posso fidarmi di te? Potresti essere venuta qui solo per ultimare il lavoro di quel farabutto, magari estorcendomi quello che vuol sapere con i tuoi modi gentili. Vuoi comprarmi dandomi dei premi di consolazione? Non attacca.”-
-“No davvero. Mi spiace che pensi questo di me. Sono sinceramente preoccupata per te e non ti nascondo che mi aspettavo di trovarmi davanti un cadavere. Ho preso le chiavi e sono entrata. Lui non c’è. Ma tornerà presto.”-
-“Allora aiutami a fuggire! Liberami!”- le disse Mick con impazienza.
-“Non ho le chiavi che aprono le manette purtroppo! Quelle le ha lui sempre con se.”-
-“Allora se davvero vuoi aiutarmi cerca di sottrargliele!”-
-“Io lo vorrei ma…”-
-“Ma cosa? Io aiuterei anche te a scappare, naturalmente!”-
-“Non ne dubito, ma lui potrebbe fare dal male al bambino…”-
-“Quale bambino?”-
-“Mio figlio… o meglio il bambino che ho adottato insieme a lui…”-
-“Lui chi? L’uomo che mi tiene prigioniero?”-
-“Si. Ma è una lunga storia. Non posso parlartene adesso. Ascolta lui non tornerà da te prima di una settimana. Solitamente si comporta così. Io cercherò di venire appena possibile e ti porterò qualcosa di commestibile.”-
-“Sicuro che non mi avvelenerai?”-
-“No!”- lei rispose risentita.
-“Perché stai facendo tutto questo?”-
-“Non lo so… forse perché vorrei scappare anche io…”-
-“Dove siamo?”- chiese Mick, ma lei non ebbe il tempo di rispondergli, il suo sesto senso le diceva che era meglio andar via.
-“Adesso devo andare! Tornerò appena sarà possibile! Cercherò di portare quelle chiavi in qualche modo.”- e si precipitò alla porta.
-“Aspetta dimmi almeno come ti chiami!”-
-“Il mio nome è Rose. A presto!”- e la porta si chiuse, lasciando Mick nuovamente solo e al buio.
Rose… come il profumo che hai portato qui dentro…. Grazie per il tuo aiuto…
-“La febbre sembra passata, Kaori.”- disse Ryo, tenendo in mano il termometro che Shinji gli aveva appena dato.
-“Si, Shinji ha anche ricominciato a mangiare tranquillamente. Finalmente questa brutta influenza è andata via.”-
-“Sì per fortuna! Eeeciù!!!”- disse Ryo cercando invano di trattenere lo starnuto.
-“Oh oh! Ryo, non sarai stato contagiato?”-
-“Ma no che dici!?! City Hunter non prende l’influenza! E e e etciù!!”-
-“Sì come no…. Oh mamma, adesso devo fare da infermiera pure a te? Preferisco accudire Shinji!!”- disse Kaori roteando gli occhi, al pensiero di Ryo con l’influenza.
-“Eddai, perché? Bella infermierinaaaa! Vieni dal tuo ammalatoooo!!”- disse Ryo, allungando le mani su Kaori, la quale gli tirò un cuscino, non avendo martelli a portata di mano.
-“Ehi Umibozu, sai la novità? Kaori per la prima volta in vita sua non ha colpito Ryo con un martello, ma si è limitata a lanciargli un cuscino! Forse ci siamo!”- disse Miki sbirciando in modo da non essere vista.
-“Sei proprio una curiosa ficcanaso, moglie!”-
-“E tu un noiosissimo rompiscatole, marito!”- gli disse di rimando Miki, facendo una linguaccia.
-“Forse non è il caso tornare a casa, Ryo… dovremmo aspettare ancora un giorno almeno, in modo che non ci siano ricadute. Anche se credo che Miki e Umibozu ci faranno secchi per questa intromissione infinita a casa loro.”-
-“Ma no ragazzi, la casa è grande e voi non disturbate affatto.”-
-“Grazie Miki, sei un’amica.”-
-“A momenti dovrebbe arrivare Kazue. Poverina, quest’attesa deve essere stressante per lei.”- aggiunse Miki.
-“Già… la capisco…”- disse Kaori sospirando, realmente preoccupata.
-“Oh, verrà Kazue?!?! Che bello!!! La mia bella infermierina!!! La consolerò io per la mancanza di Mick!!”- forse Ryo voleva solo alleggerire la tensione ma Kaori e Miki, non erano d’accordo e lo fulminarono con lo sguardo. Lui smise di dire qualunque cosa vedendo un martello pronto a colpirlo.
-“Piuttosto invece, ti porterà qualche medicina per farti guarire dal raffreddore. Magari ti prescriverà una bella iniezione!!”- disse Kaori un po’ sadica. Ryo cominciò a sudare freddo. Non amava molto le iniezioni. Soprattutto dopo l’esperienza che aveva vissuto con certe api e una sposa piovuta dal cielo.
-“Ma se ti comporterai bene metteremo una buona parola…”- Kaori e Miki si divertirono un po’ a prenderlo in giro, attendendo l’arrivo di Kazue.
Mick ormai non parlava più. Non sarebbe riuscito a quantificare da quanto tempo fosse stato rinchiuso in quella prigione. Respirava pesantemente, per via del peso del suo stesso corpo. Cominciava a sentire la lingua gonfia e le labbra secche percorse da piccole ferite. Chiunque avrebbe ceduto alla pazzia, al delirio e probabilmente sarebbe morto. Mick per fortuna era di fibra resistente. L’essere sopravvissuto alla “polvere degli angeli” lo aveva in qualche modo irrobustito. Quanto meno la sua mente non cedeva facilmente. Per tenerla impegnata si era messo dapprima a ricordare a memoria tutti i numeri di telefono, i nomi delle vie distretto per distretto, poi aveva ripercorso tutte le sue avventure. Aveva fatto mentalmente una lista di cose da fare e soprattutto cercò di capire come fosse finito in questo guaio.
Preoccupata di non sentire più alcun movimento, né suono, provenire dalla cella, la donna che aveva sentito Mick urlare, decise di andare a vedere come stesse. Non aveva mai visto Mick, né la persona che un tempo aveva amato, gliene parlò apertamente. Solo una volta lei provò a chiedere qualcosa, ma quell’uomo le rispose che non erano affari suoi, che se avesse ficcato il naso sapeva cosa sarebbe successo. E gliene diede una piccola dimostrazione. Nonostante le minacce, poiché lui era assente, prese un po’ di coraggio e sfidò la sorte. Il suo sesto senso le diceva che l’uomo rinchiuso non era malvagio, ma piuttosto una persona nel posto sbagliato al momento sbagliato. Fortunatamente non c’erano guardie in casa. Le guardie non avevano il permesso di entrare. E in quel momento lui era in riunione con i suoi collaboratori: cosa avesse in mente di fare questa volta lo ignorava. Come sempre. Decisamente spaventata e insicura, timorosa di venire scoperta, decise comunque di entrare. Cercò di fare molto piano. Girò con cura il chiavistello, senza far rumore. Entrò nel buio antro e chiuse la porta alle sue spalle. Aveva portato con se diverse cose tra cui una piccola luce rossa, del tipo di quelle per le camere oscure, perché sapeva che gli occhi di Mick non erano più abituati alla luce e avrebbe potuto accecarlo con una normale torcia. La sua paura era di trovarsi davanti un uomo morto, invece il respiro di Mick la rassicurò. Aveva portato con sé dell’acqua e lo aiutò a berne un po’. Mick tossì violentemente dopo averla bevuta con avidità.
La donna aveva anche portato una panca in modo che Mick potesse salirci sopra e riposare le braccia. Conosceva bene i metodi di tortura che lui utilizzava. Non capiva il perché di questo trattamento ma sapeva benissimo che lui era d’estrema malvagità. Aveva imparato a conoscerlo.
Mick restò sorpreso da queste attenzioni. Pian piano aprì i suoi occhi, ma nonostante tutte le precauzioni, la luce gli risultava troppo forte. Sapeva benissimo che potevano avergli dato del veleno, ma l’istinto di sopravvivenza aveva avuto la meglio su di lui e adesso se ne pentiva. Non sapeva chi era entrato e gli aveva dato da bere. Era sicuro però che fosse una donna: aveva trascinato con fatica la panca e soprattutto quando gli aveva sfiorato il viso per porgergli da bere, aveva percepito perfettamente delle sottili dita femminili. E profumava di rosa. Poteva essere una killer, certo. Ma aveva dei modi troppo delicati per esserlo. O almeno questo era quello che sperava.
-“Come stai?”- chiese lei debolmente, con voce piccola.
-“Sono stato meglio… chi sei tu?”- disse Mick, riuscendo a malapena ad articolare le parole.
-“Nessuno… volevo solo aiutarti, mi sono preoccupata non sentendoti più e sono venuta a dare un’occhiata. Sinceramente speravo di poter parlare con te.”- la sua voce aveva un leggero accento americano.
-“Perché? Chi sei? Sei una complice di quell’individuo?”-
-“No! Ti assicuro no! Sono una sua vittima anche io, in realtà.“-
-“Come posso fidarmi di te? Potresti essere venuta qui solo per ultimare il lavoro di quel farabutto, magari estorcendomi quello che vuol sapere con i tuoi modi gentili. Vuoi comprarmi dandomi dei premi di consolazione? Non attacca.”-
-“No davvero. Mi spiace che pensi questo di me. Sono sinceramente preoccupata per te e non ti nascondo che mi aspettavo di trovarmi davanti un cadavere. Ho preso le chiavi e sono entrata. Lui non c’è. Ma tornerà presto.”-
-“Allora aiutami a fuggire! Liberami!”- le disse Mick con impazienza.
-“Non ho le chiavi che aprono le manette purtroppo! Quelle le ha lui sempre con se.”-
-“Allora se davvero vuoi aiutarmi cerca di sottrargliele!”-
-“Io lo vorrei ma…”-
-“Ma cosa? Io aiuterei anche te a scappare, naturalmente!”-
-“Non ne dubito, ma lui potrebbe fare dal male al bambino…”-
-“Quale bambino?”-
-“Mio figlio… o meglio il bambino che ho adottato insieme a lui…”-
-“Lui chi? L’uomo che mi tiene prigioniero?”-
-“Si. Ma è una lunga storia. Non posso parlartene adesso. Ascolta lui non tornerà da te prima di una settimana. Solitamente si comporta così. Io cercherò di venire appena possibile e ti porterò qualcosa di commestibile.”-
-“Sicuro che non mi avvelenerai?”-
-“No!”- lei rispose risentita.
-“Perché stai facendo tutto questo?”-
-“Non lo so… forse perché vorrei scappare anche io…”-
-“Dove siamo?”- chiese Mick, ma lei non ebbe il tempo di rispondergli, il suo sesto senso le diceva che era meglio andar via.
-“Adesso devo andare! Tornerò appena sarà possibile! Cercherò di portare quelle chiavi in qualche modo.”- e si precipitò alla porta.
-“Aspetta dimmi almeno come ti chiami!”-
-“Il mio nome è Rose. A presto!”- e la porta si chiuse, lasciando Mick nuovamente solo e al buio.
Rose… come il profumo che hai portato qui dentro…. Grazie per il tuo aiuto…